Da cinque anni in Italia c’è una legge che tutti (da Destra a Sinistra) hanno sempre definito sbagliata. Da cinque anni, però, nessuno ha mai presentato una proposta seria per abolirla. Oggi, finalmente, quel santo giorno sembra essere arrivato. Stiamo parlando, ovviamente, del Decreto Pisanu e della proposta di abolizione firmata da Rao, Lanzillotta, Barbareschi e Gentiloni. Poco fa alla Camera si è proprio tenuto un question time sull’abrogazione di questo Decreto, illustrato proprio dall’On. Rao (sotto il resoconto stenografico) e tutto fa pensare che questa volta, gli estremi per avvicinarci un po’ di più all’Europa e a un rapporto sano con la modernità ci siano tutti. Il Decreto Pisanu, infatti, è superato per una serie di diversi motivi. Primo, perché fu pensato come argine per il rischio di terrorismo informatico, forma di terrorismo mai avvenuta sul nostro territorio. Secondo, perché l’Italia è un Paese fortemente tecnologizzato, ma con un handicap fortissimo, quello di non avere lo Stato dalla propria parte. Da noi ci sono infatti 4.806 punti di accesso Wi-Fi (in maggioranza privati), mentre in Francia ce ne sono 5 (cinque) volte di più. Prova ne è il fatto che se negli altri Paesi mezzi come I-Pod, I-Pad o Smartphone sono esclusivamente Wi-Fi, da noi sono in maggioranza Edge (dato che non ci sono punti di accesso). Terzo, perché frenare l’espansione del Wi-Fi libero è controproducente per l’economia e la nascita di nuove forme di investimento.
Senza dubbio il grande male del decreto Pisanu è contenuto nel suo primo comma (che impone la richiesta di un’autorizzazione al questore per condividere un po’ di connettività tra gli avventori del proprio esercizio commerciale) e nel quarto (il quale sancisce il famigerato obbligo di identificazione a mezzo carta d’identità nonché di logging della clientela). In parole semplici, il gestore che offre il servizio deve registrare l’utenza che ne usufruisce: se quindi mi connetto ad Internet tramite un punto di accesso Wifi, vengo automaticamente schedato. Un vero e proprio abominio dal punto di vista intellettuale e sociale. Un inutile e dannoso adempimento burocratico dal punto di vista giuridico. Scorrendo le varie statistiche, ci si può bene rendere conto di come l’Italia sia sistematicamente tra gli ultimi Paesi in Europa, a fianco di Romania e Bulgaria, per tutto quanto riguarda Internet e informatica. Ciò che più colpisce è la fotografia sociale che ne risulta: metà dei nostri cittadini non ha mai usato un computer (a fronte di un’altra metà, quella più giovane, che però è più che al passo con i tempi); sono indietro anche le imprese, che investono decisamente meno di quelle tedesche o inglesi in tecnologie dell’informazione (e qui ne paga chiaramente il nostro livello di concorrenza); è complessivamente indietro la pubblica amministrazione, nonostante i periodici annunci di rivoluzioni digitali (vero Ministro Brunetta?). Il tutto, perché, non ci sono leggi che valorizzino e supportino un uso sapiente e costruttivo di Internet nella vita di ciascuno di noi. E qual è, secondo voi, la madre di questa mancanza? Proprio il Decreto Pisanu, che – nel 2005 – rappresentò un tipo di risposta sbagliata (perché generalizzata e superficiale) a un serio problema come quello del terrorismo. Perché non è certo chiudendo le porte ad Internet che si impediscono gli attentati.
Altro punto, molto interessante, che a nostro avviso merita di essere portato all’attenzione di tutti il prima possibile è il fatto che il Governo italiano non abbia ancora liberato le frequenze necessarie per ampliare le reti mobili, cosi che navigare in Internet con le chiavette internet è sempre più difficile. Eppure, come spiega un rapporto realizzato dalla School of Management del Politecnico di Milano, gli italiani che navigano attraverso la rete mobile sono saliti alla fine dell’estate a 12 milioni, il doppio dei sei milioni di inizio 2009. Questo significa che, per gli operatori, vendere l’accesso a Internet attraverso la rete mobile sta diventando un business, stimato a fine 2009 in circa 1,24 miliardi di euro (più 30 per cento rispetto al 2008). Una miniera d’oro, che però non viene adeguatamente sfruttata, per il discorso di cui sopra: a fronte di pochissime frequenze, il traffico sta diventando eccessivo. Il rischio di collasso è dietro la porta. Inoltre è chiaro a tutti che le tariffe italiane sono tra le più salate d’Europa, mentre la velocità effettiva di navigazione è circa un quinto di quella promessa. In Austria e Finlandia bastano 10 euro al mese e si naviga quanto si vuole, ovunque; in Germania e in Spagna bastano 17 euro. Un sogno per gli utenti del nostro Paese.
Ecco perché la notizia della proposta congiunta Udc-Pd-Fli-Api è una bella notizia. Perché, finalmente, avremo la possibilità di liberarci di uno di quei fastidiosissimi e retrogradi laccioli burocratici che frenano il lavoro, lo svago e l’impegno di cittadini moderni, attivi e ben informati. La parte migliore della nostra Italia.
[Qui l’appello de L’Espresso; qui il testo della proposta Udc, Pd, Fli, Api; qui il resoconto stenografico del question time in Aula oggi di Rao]